Ci sono molti modi di definire un Paese un paradiso fiscale.
Una definizione può essere quella di Stato in cui un regime fiscale privilegiato consente una imposizione fiscale minore o nulla rispetto al paese di origine.
Secondo l’economista Geoffrey Colin, è necessaria la presenza di una struttura di tassazione creata deliberatamente per trarre vantaggio e sfruttare la domanda mondiale di evasione fiscale. Quindi sarebbe un paradiso fiscale un paese che costruisca un sistema fiscale di vantaggio con l’intento di attirare capitali provenienti da paesi stranieri. Secondo questa definizione potrebbero non rientrare molti Paesi tradizionalmente considerati “paradisi fiscali”, e vi potrebbero rientrare tutti quelli che modificano il proprio sistema fiscale per attrarre capitale straniero.
Da millenni l’uomo si serve di paradisi fiscali. Nell’antica Grecia alcune isole dell’Egeo venivano utilizzate come deposito per evitare di pagare il 2% sulle importazioni imposto dalla città di Atene. E questi escamotage sono stati utilizzati continuamente nella storia dei commerci, fino ad oggi. Da altrettanto tempo città e nazioni prosperano da quella che è sempre stata considerata competizione fiscale tra paesi.
Al di là dell’ovvio perseguire i movimenti di denaro generati dalle organizzazioni criminali, non è illegale la concorrenza fiscale tra paesi, che infatti, cercano di rendersi attraenti con varie costruzioni quali le free economic zone (in Italia, ad esempio, Catania, Ventimiglia) o i porti franchi (Livorno, Trieste, Venezia, Aosta).
In molti casi, però, i paesi considerati paradiso fiscale, possono costituire per molti paesi una spina nel fianco e mettere in atto una forma di concorrenza sleale.
In realtà non si può imporre ad un paese di imporre più tasse ai propri cittadini solo per non generare disparità di trattamento tra paesi. Alcuni sistemi fiscali presentano una tassazione sicuramente di vantaggio rispetto, ad esempio, all’Italia. Ad esempio la Russia applica una tassazione alle società pari al 20% potrebbe essere un paradiso fiscale per un’azienda italiana, se si guardasse solo all’importo della tassazione. Montecarlo applica imposte sui redditi d’impresa non particolarmente attraenti, anzi, però la tassazione di chi acquisisce lo status di cittadino monegasco è pressoché nulla. Né possono accadere distorsioni per cui un cittadino si possa trovare a pagare 2 volte le proprie imposte sui redditi, una volta perché residente in un paese ed una seconda volta perché, ad esempio, i redditi vengono prodotti in un certo altro territorio o è cittadino di un certo Stato (come avviene per i cittadini USA che sono tassati in base al principio di cittadinanza e non di residenza). Per questo motivo gli stati si sono accordati con vari trattati contro la doppia imposizione.
A rendere più complesso il quadro dei paradisi è anche il fatto che non sempre si sceglie di rifugiarsi in un paradiso fiscale per mere questioni fiscali. Questi paesi, spesso, sono infatti anche giurisdizioni dove vigono regole di riservatezza bancaria molto strette, rendendoli interessanti per coloro che intendessero proteggere il proprio patrimonio da creditori o da questioni di famiglia.
Al di là delle definizioni giuridiche, più o meno sfuggenti, i paradisi fiscali hanno in comune buona parte delle seguenti caratteristiche:
- non vi è alcuna tassazione o tassazione nominale
- è presente un sistema “ring fenced”, cioè un sistema di tassazione con ampia disparità tra i redditi generati nel territorio nazionale dagli altri
- vi è scarso scambio di informazioni fiscali con le autorità fiscali straniere
- mancanza di trasparenza (opacità) delle transazioni effettuate grazie alla normazione legislativa, amministrativa e legale
- non viene richiesta una necessaria presenza fisica sul proprio territorio
- si auto-promuovono come centro finanziario off-shore (si usa il termine off-shore ad intendere una delocalizzazione fuori dal territorio nazionale). Questo determina la loro capacità di attrarre società con il solo scopo di occultare capitale
Possiamo distinguere 4 principali categorie di paradisi fiscali:
- Pure Tax Haven: non vengono applicate imposte o tasse o solo imposte o tasse di valore nominale. Viene garantito il segreto bancario e non vengono scambiate informazioni con altri paesi
- No Taxation on Foreign Income: viene tassato solo i reddito prodotto nel territorio nazionale
- Low taxation: viene applicata una modesta tassazione fiscale sul reddito ovunque generato nel mondo
- Special Taxation: in questi paesi il peso dell’imposizione fiscale è simile a quello dei paesi considerati a tassazione normale, ma è consentita la costituzione di società particolarmente flessibili
Gia dal 1999 l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economic) o OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) aveva stilato una prima blacklist (lista nera) di paradisi fiscalli. Il 2 aprile 2009 durante il G20 di Londra i paesi G20 si sono accordati per definire una blacklist dei paradisi fiscali da segmentarsi in 4 categorie basate sull’adesione ad uno “standard fiscale internazionalmente riconsociuto”.
Le 4 categorie di paesi sono:
- i paesi che hanno sostanzialmente implementato lo standard (tra questi è l’Italia)
- i paradisi fiscali che si sono impegnati ad adeguarsi ma non hanno ancora pienamente implementato lo standard (tra questi Andorra, le Bahamas, Isole Cayman, Gibilterra, Liechtenstein e Monaco)
- i centri finanziari che si sono impegnati ad adeguarsi ma che non hanno ancora implementato in pieno lo standard (tra questi la Svizzera, l’Austria, il Belgio e Il Lussemburgo)
- i paesi che non si sono impegnati ad implementare lo standard (sono i c.d. Paesi non cooperativi, finora una categoria vuota).
In Italia il legislatore era già arrivato a considerare paradisi fiscali quei paesi dove il livello di tassazione è inferiore minimo per il 30% rispetto al livello medio applicato in Italia. La Legge Finanziaria del 2008 istituisce, al posto della blacklist per i paesi a rischio fiscale, la whitelist in cui inserire quei paesi ad elevato livello di collaborazione con l’amministrazione italiana. Con questo nuovo criterio potremmo trovarci paesi prima presenti nelle blacklist per via del livello di tassazione basso ora rientrare nella whitelist in quanto hanno uno scambio di informazioni con l’Italia adeguato ai nostri parametri. E’ il caso di Malta, delle Mauritius e degli Emirati Arabi Uniti. E potrebbero essere invece penalizzati paesi che, pur avendo livelli di tassazione simili a quella italiana, mantengono una eccessivo livello di riservatezza, come la Svizzera.
E’ prevista l’indeducibilità dei costi sostenuti per operazioni intercorse con fornitori residenti in paesi considerati paradisi fiscali e inseriti nella blacklist, anche se l’indeducibilità è applicabile solo ad operazioni tra società appartenenti allo stesso gruppo e non si applica se si fornisce la prova che la società estera svolge prevalentemente attività economica reale de effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.
Con il decreto Bersani (D.L. 223/06) si è introdotta, con il comma 5 bis dell’art. 73 del TUIR sulla localizzazione dei redditi prodotti da una società o ente estero la cui partecipazione di controllo è detenuta da un soggetto residente in Italia, la presunzione legale, salvo prova contraria, della residenza in Italia della sede amministrativa di società ed ente estero quando, alternativamente:
a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, comma 1 del c.c. da soggetti residenti in Italia;
b) sono amministrati da un consiglio d’amministrazione o altro organo di gestione equivalente, formato da soggetti residenti in Italia.
E’ stata in pratica introdotta l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che deve essere in grado di predisporre idonea documentazione, nulla essendo stato, però, indicato su cosa possa costituire prova contraria.
Se l’imposta evasa supera il limite di € 77.468,53 il reato è penale con una previsione di reclusione da uno a tre anni.
Come viene sfruttata la competizione fiscale fra Stati? Con necessaria semplificazione, si usano 4 principali metodologie.
- Tassazione in capo alla persona fisica:
Nella gran parte degli stati del Mondo la residenza è la principale base di tassazione. In alcuni casi le giurisdizioni a tassazione mite prevedono imposte sui redditi leggere o inesistenti (ad esempio il Principato di Monaco). E quasi tutti i paradisi fiscali non impongono tasse sui capital gain o imposte di successione.
- Imposizione patrimoniale:
Un trust o una società o un trust che possiede una società si costituisce in un paradiso fiscale e viene amministrato e risiede in una giurisdizione ad alta tassazione.
La funzione sarà quella di detenere la proprietà che può consistere in un portafoglio di azioni, partecipazioni in altre società o gruppi e beni materiali, tra i quali, ad esempio, immobili.
L’essenza di una tale organizzazione è che trasferendo la proprietà di un asset societario ad un’altra entità, residente in una giurisdizione a bassa tassazione, l’asset societario cessa di essere tassato nella giurisdizione ad alta tassazione e sarà soggetta alle regole di tassazione della nuova giurisdizione.
Spesso il meccanismo è impiegato per eludere una specifica imposta. Ad esempio, un testatore che possiede ingenti capitali trasferisce i propri beni ad una società off-shore. Successivamente questi conferisce le quote della società off-shore ad una fiduciaria di cui è amministratore congiuntamente ad un’altra persona, mantenendo l’usufrutto a vita per lui, e poi per sua figlia. Alla sua morte le quote passeranno automaticamente alla figlia, che quindi acquisirà la casa senza omologa del testamento e imposte di successione.
Accade, però, che la maggior parte dei Paesi applica imposte di successione e tutte le altre imposte sui beni immobili siti nella propria giurisdizione, a prescindere dalla nazionalità del proprietario, e quindi potrebbe non funzionare con gli immobili nella gran parte dei Paesi. E’ una forma più adatta ai patrimoni costituiti soprattutto da beni immateriali.
- Le società:
Molti business che non necessitano di una specifica sede geografica o di forza lavoro hanno sede in un paradiso fiscale per limitare l’esposizione fiscale. Tipica è la presenza alle Bermuda di società di riassicurazione che vi ahnno migrato negli anni. Molte sono le società finanziarie e le società di servizi erogati via internet.
Negli anni 70 e 80 molti gruppi societari creavano società off-shore allo scopo di ri-fatturare. Queste società di rifatturazione guadagnavano il proprio margine operativo senza svolgere alcuna funzione economica, e siccome i propri redditi si generavvano in una giurisdizione tax-free, il gruppo riusciva a far dimagrire i profitti dichiarati nella giurisdizione ad alta tassazione. Oggi nella gran parte degli stati, tra cui l’Italia sono state introdotte norme sul “transfer pricing” che regolamentano escamotage di questo tipo.
- Gli intermediari finanziari
La gran parte delle attività economiche nei paradisi fiscali oggi consiste in servizi finanziari, come fondi comuni, banche, assicurazioni e fondi pensionistici. In genere i fondi sono depositati con un intermediario in una giurisdizione low-tax, e l’intermediario reinveste le somme spesso nelle stesse giurisdizioni ad alta tassazione. Questo sistema non esime da imposizioni fiscali i propri clienti però permette al fornitore di servizi finanziari di erogare prodotti multi-giurisdizione senza stratificare addizionali livelli di tassazione. Questo sistema è particolarmente utilizzato dai fondi off-shore.
Paolo Battaglia - author
Paolo Battaglia, è laureato in Economia e Commercio presso l’Università di Messina, con Master in Business Administration presso la Central Connecticut State University, ICAEW Sustainability Certificate, IIEEL Certified ESG Professional (CESG Pro-Associate Level), Dottore Commercialista, Revisore Legale e ICAEW Chartered Accountant (Institute of Chartered Accountants in England and Wales), membro della ICAEW Financial Reporting Faculty e della ICAEW Corporate Finance Faculty, con 25 anni di esperienza in Italia e all’estero nel guidare la crescita organizzativa, finanziaria e i processi aziendali delle PMI.
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