Come ci si attendeva da diverse settimane, venerdì 26 gennaio scorso è stato varato il Decreto Legge del Consiglio dei Ministri sulla Voluntary Disclosure (Collaborazione Volontaria). Con questo provvedimento il Governo mira a far rientrare i capitali detenuti all’estero da cittadini italiani e non dichiarati al fisco, con l’allettamento di un notevole abbattimento delle sanzioni per le mancate dichiarazioni negli anni precedenti e per esimenti sul piano penale da un lato, e con l’accelerazione degli accordi di comunicazione automatica tra Paesi anche non white list (ad esempio la Svizzera) dall’altro. La richiesta di ammissione potrà essere presentata entro il 30 settembre 2015. La disclosure non sarà amissibile se la richiesta verrà presentata dopo che il contribuente sia già stato interessato da una verifica o una ispezione fiscale.
Questo procedimento può anche risultare molto oneroso ma, in molti casi può costituire un’opportunità.

I vantaggi offerti dalla Voluntary Disclosure sono diversi. Innanzitutto ci si mette al riparo dalla sempre più stringente morsa intorno ad alcuni paesi non white list e ai loro sistemi bancari che stanno da diversi mesi “scaricando” i propri clienti preannunciando la fine, di fatto, del segreto bancario.


Si eviterà inoltre di incorrere nel reato di “Autoriciclagggio” di prossima probabile introduzione. Le sanzioni per la violazione dell’obbligo di dichiarazione (il quadro Rw) per chi ha trasferito capitali in Stati white list oppure se si rilascia all’intermediario estero l’autorizzazione a trasmettere le informazioni al fisco italiano saranno ridotte al 1,5% dell’importo non dichiarato, e cioè metà del minimo edittale e pari al 4,5% dell’importo non dichiarato nei casi di Paesi non white list, come il Lussemburgo o i cantoni svizzeri, e cioè il minimo edittale ridotto di 1/4. 

Inoltre, ancora, si terrà finalmente conto del principio del “cumulo giuridico” (art. 12 del decreto legislativo 472/1997) in base al quale nel caso di violazione reiterata, la sanzione irrogata verrebbe debitamente incrementata rispetto alla sanzione prevista per la violazione più grave e diverrebbe definibile nella misura di 1/3 (in adesione). 

Chi parteciperà alla regolarizzazione spontanea non sarà perseguibile per omessa o infedele dichiarazione. Per i comportamenti fraudolenti (fatture o dichiarazioni false o altri artifici) la pena è ridotta fino alla metà. Saranno regolarizzabili le posizioni fino al 31.12.2013. La collaborazione volontaria dovrà riguardare tutti i periodi di imposta per i quali non siano scaduti i termini per l’accertamento alla data della presentazione della richiesta.

Come si diceva, la convenienza dell’adesione al procedimento di Voluntary Disclosure, non può dirsi ugualmente vantaggiosa per chiunque e va studiata caso per caso. 
Ci si dovrebbe chiedere, ad esempio, se il soggetto che intenda procedere alla regolarizzazione possa essere incorso in condotte che abbiano implicazioni penali e di che tipo (ad esempio riciclaggio, anche in vista dell’ancora congelata ma prossima introduzione del reato di “Autoriciclaggio”), verificare che i redditi maturati negli anni non violino le soglie di punibilità previste per i reati fiscali, se il paese in cui deteneva il patrimonio da regolarizzare era un paese non white list, calcolare l’ammontare del debito d’imposta, determinare le violazioni tributarie non penali che accompagnerebbero il debito di imposta. 
Anche la possibilità di avere tutti i documenti richiesti a propria disposizione sarà elemento importante da valutare. Infatti, al momento della richiesta il contribuente sarà tenuto ad esibire la documentazione completa su investimenti e attività finanziarie costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, su come si sono costituiti e sui guadagni realizzati negli ultimi 10 anni in termini di interessi, dividendi, plusvalenze.

D’altro canto, senza l’adesione al procedimento di collaborazione volontaria, le somme che l’Agenzia delle Entrate potrebbe richiedere consistono nel 100% delle imposte non versate sui redditi maturati sui cinque anni precedenti (10 se il conto è in un paese non white list), dal 100% al 200% delle imposte non versate per le sanzioni (aumentate di un terzo, cioè fino al 260% in caso di paesi non white list), dal 3% al 30% dei patrimoni oggetto di monitoraggio fiscale non indicati nel relativo mod. RW, oltre interessi. 
V’è anche da dire che, in ogni caso erano già previsti dalla legge italiana e dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate diversi strumenti che permettevano (e permettono) di pagare le sanzioni in misura ridotta, anche fino ad un sesto della sanzione irrogata.

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