Come abbiamo visto, per effetto della Brexit nell’immediato futuro non cambierà niente per le imprese italiane perché il governo britannico avrà (almeno) due anni per negoziare le condizioni di uscita e le future relazioni con i restanti 27 Stati membri.

Mentre per gli scenari di breve periodo, come avevamo già detto precedentemente (e come si sta verificando), le uniche ripercussioni di rilievo saranno osservabili sui mercati finanziari, nel lungo periodo, invece, si assiste oggi alle più svariate previsioni, le più verosimili delle quali (in questi caso può applicarsi benissimo la teoria dei giochi non cooperativi) non prefigurano particolari rivoluzioni sul piano degli accordi commerciali tra la Gran Bretagna e l’UE (e sempre che si giunga davvero ad una fuoruscita dopo l’attivazione dell’art. 50 del Trattato di Lisbona) e si ipotizzano pochi traumi tra UK e resto del Mondo e forse anche qualche vantaggio per il Regno Unito. Non altrettanto può dirsi per i Paesi rimanenti nell’UE che dovranno gestire un ex-partner ora più autonomo e spinte interne verso l’emulazione di quanto accaduto col referendum britannico, senza ritrovarsi nelle stesse condizioni economiche, finanziarie, industriali e di debito pubblico (come l’Italia). La Gran Bretagna potrà giungere molto probabilmente a forme di trattati simili a quelli attualmente in atto tra la Norvegia e l’UE. Attualmente il governo UK sta, naturalmente, prendendo utilmente tempo.

In questo clima fluido sull’esito della Brexit, può essere opportuno porsi qualche domanda sulle ripercussioni della eventuale fuoruscita della Gran Bretagna dall’UE sulle imprese italiane con particolare riferimento ai loro processi amministrativi, agli adempimenti IVA e ai dazi doganali.

I rapporti tra I Paesi UE in materia di IVA sono regolati dagli artt. dal n. 37 al n. 60 del D.L. n. 331-1993, convertito con L. n. 427-1993.

L’art. 38 disciplina gli acquisti intracomunitari stabilendo, in sintesi, che vengono considerati acquisti intracomunitari e pagano l’IVA nel Paese di destinazione gli acquisti a titolo oneroso, trasportati o spediti in Italia da un altro Stato membro, a cura del cedente, dell’acquirente (o di terzi per loro conto), effettuati da soggetti IVA. Anche il cedente comunitario deve essere un operatore economico. Chi effettua acquisti soggetti ad imposta deve comunicare al cedente il proprio numero di partita IVA, preceduto dalla sigla IT.

Gli acquisti intracomunitari si considerano effettuati nel territorio dello Stato Italiano e sono quindi soggetti all’applicazione delle norme IVA se hanno per oggetto beni originari di altro Stato membro o che in tale Stato sono immessi in libera pratica (cioè se hanno assolto i dazi doganali UE), sono spediti o trasportati dal territorio di tale Stato membro nel territorio italiano, se l’acquirente è soggetto IVA in Italia, a meno che l’acquisto sia assoggettato ad IVA nel Paese UE di eventuale nuova destinazione della merce (in caso di triangolazione UE).

Ai sensi dell’art. 39 il momento impositivo ai fini IVA è il momento di effettuazione dell’acquisto intracomunitario, e cioè il momento della consegna dei beni nel territorio dello Stato al cessionario o a terzi per suo conto (nel caso in cui il trasporto non sia curato personalmente dal cessionario o da terzi per suo conto), oppure dell’arrivo nel luogo di destinazione nel territorio dello Stato (nel caso in cui il trasporto sia effettuato con mezzi del cessionario), oppure il momento della produzione degli effetti traslativi della proprietà o, comunque, entro un anno dalla consegna (se tali effetti sono prodotti posteriormente alla consegna o all’arrivo a destinazione dei beni), oppure all’atto della fatturazione o del pagamento (anche parziale) del corrispettivo dovuto (se anteriormente ai momenti individuati di cui ai casi precedenti si è ricevuta fattura o si è pagato il corrispettivo).

All’atto del ricevimento di una fattura proveniente da un Paese membro UE, l’acquirente italiano soggetto IVA assolverà l’IVA con la procedura del c.d. reverse charge (art. 46 del predetto D.L. n. 331-1993), e quindi la fattura ricevuta dovrà essere numerata e riportata nel registro IVA degli acquisti, numerata e riportata nel registro delle fatture emesse (o dei corrispettivi a seconda dei casi). La base imponibile sarà data dalla somma dovuta per la merce, aumentata di tutte le spese accessorie, ad eccezione delle somme esenti o escluse (ad es. ai sensi degli artt. 10 e 15 del D.P.R. n. 633/1972) che vanno comunque indicate al momento dell’integrazione dell’imposta.

La fattura dovrà essere eventualmente convertita in euro, utilizzando il cambio del giorno di effettuazione dell’operazione indicato in fattura, oppure in mancanza, del giorno di emissione della fattura. Infine la fattura dovrà essere integrata con l’aliquota IVA e il relativo importo dell’assoggettamento vigente nel nostro Paese, oltra al totale fattura. Queste annotazioni dovranno essere riportate sui registri IVA separatamente dalle altre registrazioni ordinarie.

Con questo meccanismo il soggetto acquirente italiano sarà contemporaneamente debitore e creditore dell’IVA, per cui l’IVA verrà versata interamente allo Stato italiano all’atto della vendita dei beni.

Il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio avrà emesso invece una fattura senza addebitare l’imposta, con l’annotazione obbligatoria “inversione contabile”, indicando eventualmente il riferimento normativo.

Finanziariamente applicando il meccanismo dell’inversione contabile si hanno effetti neutri sia per il soggetto che effettua la cessione e che emette fattura senza applicare l’imposta, sia per l’acquirente che annoterà l’IVA sia a debito che a credito.

Oggi, come si diceva, le cessioni e gli acquisti tra Regno Unito e Paesi UE sono considerate operazioni intracomunitarie, ma, una volta fuori dalla UE, il Regno Unito sarà considerato fuori dalla normativa delle operazioni intracomunitarie e per le operazioni soggette a Reverse Charge si dovrà considerare l’operatore UK come soggetto residente in altro Stato e verrà meno l’obbligo di presentazione dei modelli Intrastat. Il governo del Regno Unito dovrà decidere le modalità con cui le aziende UE potranno recuperare l’IVA UK, quali servizi saranno interessati e quali aliquote saranno applicate. Non essendo più soggetta alle varie direttive UE, il Regno Unito non sarà più soggetta neanche alla direttiva 2008/9 sul rimborso IVA e diventerà un Paese soggetto la tredicesima direttiva (n. 86/560/CEE del 17 novembre 1986), che definisce i termini di rimborso dell’IVA ai soggetti passivi non residenti nei paesi dell’Unione Europea.

Per richiedere il rimborso dell’Iva allo Stato comunitario in cui è stata versata, attualmente il contribuente italiano deve presentare domanda di rimborso all’Agenzia delle Entrate (Direttiva 2008/9/CE del 12 febbraio 2008, recepita con Dlgs. n. 18/2010). Le istanze di rimborso devono essere presentate esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate entro il 30 settembre dell’anno solare successivo a quello per il quale si chiede la somma, e i tempi del rimborso Iva potrebbero passare dagli attuali 4 mesi a 8 mesi. I rimborsi dell’IVA UK sostenuta dalle imprese di paesi dell’Unione Europea e viceversa non saranno più presentati quindi per via elettronica, e questo vorrà dire un ritorno alla presentazione cartacea con fatture originali.

Verificandosi la fine delle operazioni nell’ambito del regime intracomunitari tra il Regno Unito e gli Stati membri dell’UE, gli acquisti e le vendite saranno considerati come importazioni ed esportazioni e saranno soggetti, oltre all’IVA, anche al pagamento di dazi doganali. Anche le vendite online dalla UE da parte dei consumatori britannici, e viceversa, saranno oggetto di regolamentazione import / export. Esportare ed importate beni dal e per il Regno Unito, quindi, potrebbe diventare più costoso. D’altro canto, la Gran Bretagna, dove attualmente l’aliquota IVA (VAT) ordinaria è del 20% sarà anche libera di impostare la propria aliquota IVA, che attualmente nella UE deve essere compresa tra il 15% e il 25% e il governo UK potrebbe anche introdurre nuove possibili esenzioni.

Paolo Battaglia
Dottore Commercialista in Ragusa e ACA Chartered Accountant (ICAEW) a Londra

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Brexit, possibili effetti sull’IVA