“Doing Business 2017”.  Come ne escono l’Italia e il Regno Unito nell’annuale rapporto sulla competitività internazionale dei Paesi?

di Paolo Battaglia, pubblicato su “Fiscalità Estera”.

Anche quest’anno la World Bank ha stilato il suo rapporto “Doing Business” in cui vengono presi in considerazione moltissimi aspetti del fare business nei singoli Paesi, mettendoli a confronto tra loro. Vedremo oltre i singoli parametri, ma anticipiamo subito che nella sintesi finale, l’Italia si colloca al 50° posto, dal 45° dell’anno precedente, perdendo 5 posizioni, superata in attrattività anche dalla Serbia e dalla Moldova. E l’anno scorso avevamo guadagnato 11 posizioni rispetto all’anno precedente. All’interno della UE ci posizioniamo al terzultimo posto per capacità di attrarre investimenti, superati verso il basso dalla sola Grecia (59° posto) e da Malta (66° posto).

Questa discesa di posizione dell’Italia avviene nonostante il punteggio complessivo dell’Italia salga leggermente sia rispetto al 2015 che rispetto al 2016. Gli analisti della World Bank spiegano la cosa con una diversa metodologia usata quest’anno nella reazione del report, il che rende non direttamente comparabili i risultati rispetto agli anni precedenti, pur rimanendo utile per comparare tra loro i Paesi nel 2016.

L’osservazione attenta del Doing Business è importante perché questa ricerca comparata costituisce un riferimento importante per gli investitori mondiali. Se a ciò aggiungiamo il momento fluido per molti investitori tradizionalmente in UK, ancora in attesa di capire dove porterà la Brexit e la Piazza di Londra, pronti a trasferirsi altrove in Europa. Dublino, Parigi, Francoforte e la stessa Milano si candidano a intercettare potenziali investitori in uscita dal Regno Unito. Ma questo è tutt’altro capitolo ancora tutto da scrivere.

Se dovessimo guadare all’intero mappamondo, quali sarebbero i Paesi in cui investire per fare business? Al primo posto è la Nuova Zelanda che supera Singapore che risultava prima nel rapporto “Doing Business 2016”. Al terzo posto si colloca la Danimarca e poi a seguire Hong Kong, Corea del Sud, Norvegia, Regno Unito, Usa e Svezia. L’anno scorso al decimo posto era la Finlandia, oggi occupato dalla Macedonia. Quindi, l’Europa è ben presente e rappresentata.

I Paesi analizzati dal rapporto della Banca Mondiale sono 189 e gli indicatori presi in considerazione sono la facilità di avvio di una nuova attività, la gestione dei permessi edilizi, la disponibilità di energia elettrica, la protezione del diritto di proprietà, l’accesso al credito, la tutela degli investitori di minoranza, la gestione fiscale, il commercio con l’estero, l’efficacia dei contratti, la gestione delle procedure concorsuali.

A seguire sono, nel dettaglio i risultati per l’Italia, la Norvegia e il Regno Unito:

ITALY

(Fonte: The World Bank Group)

NORWAY

(Fonte: The World Bank Group)

UNITED KINGDOM

(Fonte: The World Bank Group)

L’Italia perde posizioni in ognuno degli indicatori visti dianzi, tranne quello del “Paying Taxes”, cioè di una gestione fiscale attraente, dove risalirebbe di 8 posizioni.

Questo del “Paying Taxes” è un parametro che non tiene conto solo di aliquote fiscali basse per le imprese ma anche dell’introduzione o enfatizzazione di sistemi elettronici per la loro gestione e pagamento, di quel che in Italia chiamiamo “cuneo fiscale”, dei costi fiscali diversi dalle imposte sul reddito d’impresa e dai costi sul lavoro dipendente, della semplificazione e accorpamento di diverse tasse e imposte, delle deduzioni ammesse, della facilità del processo della tassazione in generale (dichiarazioni, pagamenti, questionari, monitoraggi, moduli obbligatori).

Nonostante si risalgano 8 posizioni, siamo sempre al 126° posto, niente di cui andare fieri.

E, nel confronto con altri Paesi dell’UE o dello SEE come appunto Norvegia (sesta posizione) Regno Unito (settima posizione generale) resta sempre avvilente notare come il rapporto ci metta davanti al fatto che, persino in una voce che ci vede migliorare, siamo ben lungi da Paesi 6 e 7 della classifica i titolari di partita IVA in Italia impieghino in media 240 ore all’anno per la gestione fiscale, contro le 110 del Regno Unito  o le 83 della Norvegia (1/3 del tempo speso in Italia), con una tassazione complessiva espressa in percentuale del 62% in Italia contro il 30,9 %del Regno Unito o il 39,5% della Norvegia (che pur gode fama di essere un Paese a tassazione elevata).

E questo ranking ancora non tiene conto dei nuovi 8 adempimenti fiscali per imprese e professionisti presentate nel Decreto Fiscale attualmente all’attenzione del Parlamento.

Avviare un’attività economia nel Regno Unito 4,5 giorni uomo, in Norvegia 4 ore uomo e in Italia 6,5 giorni. Se a questo sommiamo che nell’accesso al credito ci ritroviamo al 101° posto contro il 20° del Regno Unito, ci rendiamo conto come il gap sia davvero importante per non essere preso in considerazione da un qualunque investitore.

Quel che è anche altrettanto grave è che, con riferimento all’indicatore “Enforcing contracts” (l’efficacia dei contratti) siamo al solito punto dolente della certezza del diritto e della lunghezza dei processi: siamo al 108° posto, contro il 31° del Regno Unito e al 4° della Norvegia. Con quali argomenti possiamo convincere un investitore a preferire l’Italia come luogo di elezione per fare business, potendo scegliere Paesi vicini a noi dove persino la giustizia funziona incomparabilmente meglio?

 

Paolo Battaglia
Dottore Commercialista in Ragusa e ACA Chartered Accountant (ICAEW) a Londra

[email protected]

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